San Ferdinando di Puglia è brutta!
"Se la libertà significa qualcosa,
significa il diritto di dire alla gente
ciò che non vuole sentirsi dire". (George Orwell)
La retorica di San Ferdinando di Puglia come bel paesello è stucchevole. Io sono tra quelli che considerano la città in cui vivono non solo priva di attrattiva, ma brutta e socialmente morta, con gran parte della cittadinanza profondamente resistente al cambiamento e prigioniera di una mentalità paleozoica.
Artisti come Henri Matisse scrivevano che il bello è dappertutto. Io contesto con forza l’assunto e porto San Ferdinando di Puglia come prova di confutazione.
E non è una questione di pregiudizi personali, perché i fatti sono incontrovertibili. È sufficiente che un forestiero arrivi in città in automobile per averne un’idea precisa nel tempo di un “Amen”.
Se è vero che il bello è soggettivo, allora è anche vero che sempre più persone si lamentano del limbo di mediocrità che paralizza la città, che è ben più preoccupante della sua bruttezza.
Quando poso lo sguardo sulle strade, le piazze e il degrado ambientale delle periferie di questa città arretrata, il pensiero e le emozioni che mi attraversano la mente non hanno niente a che fare con l’estetica del bello.
San Ferdinando di Puglia e la parola bellezza non andrebbero mai associate nella stessa frase, perché sono un ossimoro.
L’idea della bellezza nella nostra città non ha mai attecchito. Se Michelangelo fosse nato qui, avrebbe probabilmente scolpito un monolite di rifiuti.
Chi ha la sfortuna di vivere a San Ferdinando di Puglia o vi soggiorna temporaneamente si ritrova circondato dal brutto.
Fetida e tossica è anche l’aria che si respira, frutto dei frequenti roghi di rifiuti.
Il brutto si accompagna spesso all’ignoranza.
Molti concittadini che considerano bella San Ferdinando di Puglia sembrano vivere e pensare come i prigionieri della caverna di Platone e faticano a vedere la realtà al di là delle ombre proiettate dalle loro abitudini e dalla storia locale.
Vivendo senza confronto con altre realtà — dove la bellezza e l’armonia sono fatti concreti — scambiano il brutto per bello, celebrando una città che, alla luce del sole della verità, si rivela un inferno estetico imposto dalla dittatura del brutto, che è permanentemente insediata a San Ferdinando di Puglia e rappresenta la sua più solida tradizione.
E sono proprio le persone tradizionaliste quelle che più si aggrappano alla retorica del bel paesello e difendono lo scarafone contro ogni evidenza.
Pericolosa è l’acquiescenza e la sottovalutazione del brutto, che distrugge tutto ciò su cui posa lo sguardo.
E non è solo una questione meramente estetica; è un problema che inerisce ogni aspetto della vita. San Ferdinando di Puglia è un luogo di deprivazione sensoriale, culturale e morale.
Parlare di brutto non è nemmeno sufficiente. Si tratta di una bruttezza che ha invaso ogni angolo, che ha preso possesso della città in modo così subdolo e pervasivo da sembrare ormai la norma.
E il peggio è che tutto questo accade nel disinteresse dei più. I cittadini — e persino chi dovrebbe fare qualcosa (educatori e amministratori) — sembrano voltarsi dall’altra parte.
La bellezza muore e il brutto prolifera, perché nessuno lo combatte davvero. I pochi agenti del cambiamento che lo hanno fatto sono stati circondati dagli anticorpi del brutto che, in poco tempo, hanno ricoperto di incuria e vandalizzato le loro opere.
A San Ferdinando di Puglia ogni spazio diviene monnezza, perché l’arte dell'abbandono è ciò che domina ogni angolo, una scultura quotidiana fatta di sacchetti di plastica, materassi sfondati, vecchi elettrodomestici e rifiuti agricoli lasciati a marcire e poi incendiati come offerte rituali al demone dell’orrido.
Molti cittadini si sono lentamente e inesorabilmente adattati, fino al punto da eseguire con voluttà la metrica del brutto.
La cosa più triste è che non si tratta solo di un problema estetico. Il brutto riflette una città che ha smesso di preoccuparsi di se stessa, che manifesta un’indifferenza diffusa verso gli spazi comuni e ha perso il rispetto per il proprio ambiente e, forse, anche per il proprio futuro.
Il brutto è reale, tangibile, e non se ne andrà via da solo. Forse è ora di smettere di parlare della bellezza del paesello e iniziare a combattere seriamente contro il degrado che ci sta soffocando.
Il nostro problema non sono i sanferdinandesi nel loro complesso. Pur vivendo in un paesaggio sociale inquinato da interessi personali meschini e sordidi, conosco molti concittadini non rassegnati che aspirano a un paese migliore.
Il problema è quel tacito patto di non belligeranza con il degrado che permea troppi comportamenti quotidiani.
Abbiamo bisogno di una politica competente che affronti con serietà il problema del degrado urbano, culturale e morale, che persegua non solo la bellezza nel progettare e creare la qualità degli spazi urbani, ma che si impegni anche a promuovere la creazione di un nuovo modello di cittadinanza moderna, consapevole e informata, solidale e inclusiva, propositiva e costruttiva. Perché il cambiamento non può essere affidato solo alle istituzioni.
Servono, concretamente, iniezioni di filantropia, intesa come disponibilità a condividere gratis risorse, competenze e tempo per migliorare la qualità della vita collettiva.
Ogni comunità, anche quella più trascurata, può imparare a prendersi cura di sé. Perché il contrario del brutto non è solo il bello, è la cura.
Il cambiamento in una città pervicacemente refrattaria al nuovo non sarà immediato né facile, ma è possibile, in teoria. Sarà come scalare l’Everest a settant’anni senza ossigeno. Auguri.