Scongiuri tipicamenti cattolici

Una scena del film “Il secondo tragico Fantozzi”.

Qualche giorno fa, per strada a Bari, mi è capitato di assistere a una scena surreale.

Una madre e una figlia, sulla cinquantina, arrivano con le loro automobili di lusso di fronte a una boutique di abbigliamento femminile.

Parcheggiano entrambe le automobili in doppia fila. La madre scende, gira intorno all’auto, descrivendo una sorta di orbita, e infine si traccia sul petto un ampio segno di croce. Un gesto rapido, sicuro, quasi militare.

Alla vista della scena rimango basito per alcuni secondi, come in un fermo immagine, e nella mia mente si affaccia l’intero arsenale di superstizioni tipicamente cattoliche.

Con quel gesto, alquanto fuori luogo, la donna forse invocava la “Madonnina della Neve”, protettrice degli automobilisti che parcheggiano in doppia fila per tenere lontani i vigili urbani, giusto il tempo dello shopping compulsivo in boutique; oppure implorava la protezione di San Leonardo di Limoges contro i ladri di automobili o entrambe? O cos’altro?

In ogni caso, si trattava di uno scongiuro tipicamente cattolico, una penosa manifestazione di una religiosità in liquidazione, superficiale e priva di sostanza.

Una religiosità “light”, incline all’indifferenza, che forma cittadini anestetizzati e mimetici, i quali fanno dell’irresponsabilità verso il mondo in cui vivono uno stile di vita.

Costoro collezionano immaginette e santini, toccano ferro e tengono il cornetto rosso nella borsetta. Lo metterebbero anche nel presepe se solo la tradizione lo prescrivesse; e i più intraprendenti, in effetti, già lo fanno.

Credono nel malocchio, nel prezzemolo e nel finocchio. Come numi tutelari della buona sorte adorano le statue e appendono su di esse collane d’oro e rosari per impetrare protezione e fortuna per sé e per la propria famiglia.

Sono generosi per la festa del santo patrono e donano denaro perché in suo onore si esplodano fragorosi fuochi d’artificio: una mano santa per gli affari.

Perseguono desideri e progetti egoistici, non ultimo una religiosità esteriore, tesa alla salvazione delle proprie anime.

Si credono pii, ma non muovono un dito per rimuovere le ingiustizie che alimentano le guerre e la morte.

Vivono in un mondo che somiglia sempre più a un sepolcro, ma evitano di unirsi a chi lotta per cambiarlo e per fermare le guerre inutili tra coloro che si scannano l’un l’altro armati.

Di fronte alle sofferenze dell’homosfera e dell’ecosfera essi oppongono una poderosa scrollata di spalle, quella di Caino: “Sono forse il custode di mio fratello?”.

Per loro rendere il mondo un posto migliore non è un’opzione, non hanno lo sguardo acuto delle aquile, ma razzolano nell’aia del “ciascuno per sé”.

Fin dal 110 d.C. il clero sguazza dentro l’ignoranza, l’idolatria e le superstizioni dei fedeli a loro affidati.

I preti (con rarissime eccezioni) propinano nei loro sermoni la solita sbobba rancida, una paccottiglia reiterata fino allo sfinimento, in un lento processo di lobotomizzazione dei fedeli. Fabbricano con metodo “anime belle”, dalle mani e dal cuore inaridito.

Volete osservare formidabili esempi di egoismo e perfidia? Cercate tra i cristiani praticanti, ne troverete un vasto campionario.

L’egolatria (l’idolatria dell’io) è il frutto maturo di una spiritualità da supermercato, che produce in serie persone cieche, sorde e mute, che hanno smesso di provare empatia, compassione e orrore per le sofferenze dei fratelli e del Pianeta, e chiedono solo di salvare la propria pelle senza contribuire a cambiare nulla.

Una religiosità avariata che diserta la storia, non libera gli oppressi, non cura le ferite dei disgraziati; anzi le apre e le moltiplica, in ragione di una irresponsabilità fratricida ed ecocida e della delega politica in bianco che, quasi sempre, porta a scegliere, i peggiori per i ruoli apicali.

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